Steve McCurry. Icons è un percorso immersivo dentro lo stile e la poetica del grande fotografo americano. Un viaggio che porterà i visitatori alla visione di oltre 100 fotografie selezionate tra migliaia di scatti realizzati nel corso di una carriera quarantennale. Steve McCurry è un artista, prima che fotografo documentarista; e, benché molte sue serie siano state commissionate da riviste e giornali occidentali, ogni fotografia riflette pienamente la sua visione intellettuale dell’uomo e della natura. McCurry è infatti un umanista nel pieno senso del termine. Egli ama gli esseri umani in tutte le sue manifestazioni e, da un punto di vista compositivo, predilige spesso i primi piani ravvicinati che gli permettono di entrate in totale empatia con i soggetti scelti.
La mostra ripercorre le grandi tematiche e i più incredibili scenari incontrati da McCurry nel corso della sua attività. Il percorso espositivo, curato da Biba Giacchetti, vuole essere un viaggio privo di coordinate limitanti, quanto piuttosto un viaggio onirico tra le icone del fotografo. Ogni visitatore potrà così trovare incantevoli personaggi e paesaggi mozzafiato; lasciandosi ispirare, fotografia dopo fotografia, in assoluta autonomia e libertà.
Tra gli ambienti protagonisti dell’attività di Steve McCurry troviamo, primo fra tutti, l’Afghanistan. Essendo una mostra rigorosamente a colori, non troviamo le prime “mitiche” foto del 1979, quando il fotografo visitò il paese clandestinamente al seguito dei Mujahidin. Al Sarcinelli si parte dal 1992 con un ritratto inedito ed emozionante di Kabul, città martoriata da oltre 15 anni di conflitto. Della capitale e dell’Afghanistan in genere, il fotografo ci racconta i lati più oscuri, gli episodi di violenza e di segregazione; ma tra le pagine di una delle zone più martoriate del pianeta affiora immancabile l’umanità. I minatori di Pol-e-Khomri, il fotografo ritrattista di strada a Kabul o i bambini che affollano il bagagliaio di una Chevrolet degli anni ’50 sono solo alcuni degli incantevoli momenti di vita con cui McCurry riesce sempre ad emozionare.
In mostra incontriamo l’India in tutte le sue roboanti sfaccettature. Dal ritratto della madre con il figlio che guarda verso l’interno di un taxi ai malsani cantieri di demolizione delle navi, McCurry ci racconta la vitalità e la complessità di un paese dalla cultura enorme, attraversato però da pesanti contraddizioni. Luoghi affollatissimi (come nelle fotografie dedicate al sistema ferroviario del subcontinente) in cui miseria e ricchezza paiono convivere armoniosamente, sclerotizzando così la percezione delle ingiustizie che possiede un occidentale. La passione del fotografo per l’India è tra le più antiche, con il suo trasferimento nel paese all’età di 28 anni (1978). Da questo paese provengono infatti alcuni degli scatti di personaggi che lo stesso artista identifica come amici: l’anziana signora di Vrindavan, il mago del Rajasthan con la barba decorata di arancione o il sarto che trasporta la sua macchina da cucire in piena stagione di monsoni.
Una foto dell’India, in particolare, rivela il grande talento di McCurry. Si tratta della rappresentazione di uno dei monumenti più visti e fotografati al mondo: il Taj Mahal. La struttura, che domina la città di Agra, appare nelle immagini di ogni turista del subcontinente; eppure, anche in uno dei posti più conosciuti del pianeta, Steve McCurry è capace di dar vita ad una fotografia insolita e straordinariamente nuova del luogo.
Dall’India e dai paesi limitrofi provengono gli scatti realizzati per raccontare il fenomeno atmosferico che colpisce metà della popolazione mondiale: il monsone. Tristemente noto per i venti provenienti dagli oceani tropicali che spirano sulle pianure asiatiche portando con sé piogge torrenziali, il monsone è protagonista di immagini incredibili. Dalle persone immerse nell’acqua fino al collo, alle donne del Rajasthan che si proteggono dalle tempeste di sabbia. Del monsone McCurry ci racconta anche l’aspetto meno clamoroso, con persone che svolgono le loro mansioni quotidiane sotto il diluvio più estremo. A sottolineare ancora una volta come, nonostante le sfortune e le avversità, la vita continui a scorrere a tutte le latitudini.
Un’ampia parte della produzione di McCurry vede invece, come protagonista, il buddismo: tema importante ed estremamente personale del suo lavoro. Tra le immagini esposte in mostra troviamo i grandi mausolei come la pagoda di Mingun, la Roccia d’oro di Myanmar in Birmania (imponente masso che si dice sia in equilibrio su una ciocca di capelli di Buddha) e il complesso monumentale di Angkor in Cambogia (oggi tra le mete turistiche più battute del paese). Accanto ai capolavori architettonici, McCurry inserisce molti scatti di fedeli buddisti provenienti da diversi paesi: come i piccoli monaci in un campo profughi in India (intenti a familiarizzare con oggetti occidentali), gli acrobatici monaci shaolin residenti in Cina e i tibetani, i cui ritratti radenti riflettono il grande amore che il fotografo nutre per questa terra e per chi la popola.
La mostra ci porta poi metaforicamente a viaggiare in altri paesi come Sri Lanka, Papua Nuova Guinea, Yemen, Kashmir, Italia, Giappone e molti altri da scoprire a Palazzo Sarcinelli.
Il percorso espositivo ci permette quindi di ammirare alcuni tra i più grandi progetti fotografici di Steve McCurry. Approfondimenti narrativi saranno presenti nell’audioguida che quest’anno sarà scaricabile tramite app sullo smartphone di chi entra in mostra.