Il 15 dicembre del 1979 in Sala d’Arme a Palazzo Vecchio a Firenze si apre una mostra che fa il punto sui primi dieci anni della Poesia Visiva, ad organizzarla è Luciano Ori che ne cura il catalogo edito da Vallecchi dove vengono pubblicati i documenti da lui raccolti insieme ai testi critici di Gillo Dorfles, Vittorio Fagone, Filiberto Menna, Ermanno Miglioni e lo stesso Luciano Ori.
La mostra chiuse la stagione espositiva, per quell’anno, del Comune di Firenze, sotto l’Assessorato alla Cultura di Franco Camarlinghi che nel testo introduttivo scrive “…La poesia visiva sorge, come pratica e come poetica, a Firenze nel 1963, ma mostra presto la propria vitalità interessando validi operatori di altre aree del nostro paese fino a raggiungere con la costituzione del Gruppo dei Nove, una militanza e una udienza internazionali….Compito dell’ente locale è, in questo caso, portare all’opinione pubblica una serie di documenti che facciano, per quanto possibile, il punto su di un momento culturale di particolare risonanza senza pretendere con ciò di esaurire l’argomento e nemmeno di definirlo una volta per tutte. Il merito di questa mostra è dunque quello di essere documentaria e di presentare, accanto a molti documenti di per sé incontrovertibili, soltanto poche opere, intese per giunta come esemplificazione e pertanto come documentazione supplementare.”
La mostra venne articolata in un percorso espositivo in quattro stazioni dedicate ai momenti più significativi della Poesia Visiva dell’epoca e cioè : 1963-1967 il momento di fondazione che si identifica con l’attività del Gruppo ’70, dal 1968 al 1971 è il momento di riflessione e del lavoro in solitaria dei singoli artisti nell’emergenza del 1968, 1972-1974 la fondazione del Gruppo internazionale o del Gruppo dei nove, con l’adesione di artisti di altre nazionalità, la Poesia Visiva diventa un movimento internazionale, 1975-1979 le nuove esperienze della Poesia visiva e le ipotesi di lavoro.
” A prescindere da ogni profezia – scrive Gillo Dorfles nel suo contributo – che non potrebbe che essere sterile, ritengo che una cosa almeno possa essere ipotizzata: difficilmente verrà dimenticata o trascurata, nei prossimi tempi, l’osmosi tra la parola ( scritta, stampata, disegnata) e l’immagine che definirei “massiva” ( ossia il segno iconico strappato ai messaggi delle comunicazioni di massa). Ormai l’impatto dell’immagine fotografica, televisiva, filmica, è tale che sarebbe impossibile prescinderne. Il fatto di valersi di queste immagini “prefabbricate” per alterarle, sottolinearle, magari invertirle, e “poeticizzarle” ( nel senso di un’attività mitopoietica più che di un’effettiva poeticità lirica) con l’aggiunta e l’intervento della parola, mi sembra un fenomeno vitale che con ogni probabilità potrà continuare ad esistere anche in un prossimo avvenire“.
” Ho tenuto a sottolineare – scrive infine Vittorio Fagone – come la poesia visiva non vada vista nelle posizioni eleganti ma inefficaci dello sperimentalismo e della nuova avanguardia. Credo vada anche precisato che nel programma della poesia visiva – proporsi a manifesto, a specchio urbano, a segnale di comunicazione critica, esplicita e rafforzata – risulta ancora vivo il progetto fondamentale di tutta l’arte moderna: un codice di apprensione e di comunicazione più direttamente riferito allo spazio costitutivo dell’arte, una capacità di essere immediatamente efficace, popolare.”