Il Museo MAN di Nuoro presenta la prima mostra istituzionale dedicata al profondo dialogo intellettuale e affettivo che legò Maria Lai (1919-2013) all’artista peruviano Jorge Eielson (1924-2006). Sullo sfondo di una Sardegna rurale, immersi nei luoghi remoti dell’Ogliastra, due autori straordinari del Novecento intrecciano la loro storia privata con quella espressiva; condividono riflessioni sul mondo e sull’estetica, siglano opere a quattro mani, si dedicano vicendevolmente parole e immagini. Le poesie di Jorge suggeriscono a Maria nuove fiabe per i suoi fili. La Sardegna di Maria, il suo passato arcaico, le sue fate, il Mediterraneo, nutrono i versi di Jorge e quei nodi di stoffa retaggio di una cultura sudamericana che egli porta con sé sull’isola e cuce alle iconografie primigenie della sua terra d’adozione.
Eielson aveva abbandonato il Perù nel 1948 e aveva vissuto a Parigi e in Svizzera, prima di stabilirsi in Italia nel 1951. A Bari Sardo, la sua vita si sposa a quella di un altro autore locale, Michele Mulas, a sua volta artista e testimone di una amicizia creativa che si dipana fra gli anni Ottanta e Novanta, tracciando un sentiero di pensieri condivisi su temi lirici e ricorrenti, come la natura e il cosmo, la parola e l’amore. Scrive Elena Pontiggia: «i punti di contatto nel loro lavoro, del resto, non mancavano. Lai e Eielson dialogavano entrambi con quella direzione di ricerca dell’arte contemporanea che utilizza come materiale la tela del quadro, anzi ne erano fra i protagonisti. È una direzione di ricerca che in Italia va dai Sacchi di Burri alle “bende “di Scarpitta, dalle tele imbevute di caolino di Piero Manzoni a quelle sagomate di Castellani e Bonalumi, fino ai Volumi di Dadamaino e ai lavori di Simeti, Mario Surbone e altri ancora. Le sue origini risalgono dunque all’informale soprattutto degli anni Cinquanta e trovano una nuova declinazione alla fine del decennio col gruppo Azimut. Le due stagioni hanno però ideali antitetici: in Burri e in Scarpitta la tela è essenzialmente materia; in Manzoni e compagni è, per così dire, antimateria, è un aspetto di quell’aspirazione al silenzio che percorre il loro lavoro e vuole superare la fisicità e il grido dell’informale. Anche Eielson si serve della tela, ma con altri intenti ancora. Nelle sue opere ha un valore fondamentale il nodo, o quipo, l’antico segno degli Incas, che simboleggia un centro di energia cosmica e insieme il nucleo primo, quasi molecolare, di ogni essere. Già negli Assemblages Eielson aveva usato i tessuti, che gli suggerivano una riflessione esistenziale. “Mi venne spontaneo inserire [nell’opera] degli indumenti che […] possedevano una precisa realtà esistenziale. E ci sono serie intere di camicie, blue-jeans, giacche e pantaloni, vestiti da donna, abiti da sera, scarpe, calze, cravatte, accessori d’ogni genere. […] Trattai questi indumenti in tutte le maniere possibili: strappati, bruciati, tagliati, attorcigliati e finalmente annodati” ha raccontato l’artista».
Il progetto della mostra, firmato da Elisabetta Masala, curatrice del MAN, contempla una sessantina di opere di Maria Lai e di Jorge Eielson, alcune delle quali inedite e presentate al pubblico per la prima volta, rinvenute in collezioni private ad oggi non ancora valorizzate, oltre che dagli archivi storici di entrambi gli autori. Il percorso si snoda attraverso una narrazione a due voci che vede dipinti, tele, sculture e sperimentazioni tecniche di Lai e Eielson dipanarsi per sezioni, il paesaggio, la poesia, le stelle, le geografie, nell’idea di restituite l’armonia di un sentire comune e piccoli “nodi” che collegano in sottotraccia le ragioni antropologiche del lavoro di entrambi, fra il passato dell’isola a quello dei nativi peruviani.