Tra gli elementi caratterizzanti del movimento artistico della Poesia Visiva c’è senza ombra di dubbio quello ideologico. La poesia visiva possiede una “carica ideologica che la distingue da qualsiasi altro movimento d’arte d’ avanguardia contemporanea e che la diversifica ulteriormente dal Futurismo, da cui pure deriva”.
La precisazione ci arriva da Egidio Mucci che sin dalla sua nascita, ha seguito le mosse del Gruppo ’70 e di uno dei suoi più convinti fondatori, Eugenio Miccini al quale aveva dedicato l’importante saggio “Eugenio Miccini ovvero della manipolazione dei segni” pubblicato nell’Antologia critica Poesia Visiva 1962-1991.
“…tanto puntano alla sintesi i dadaisti – osserva Egidio Mucci – quanto invece mirano all’analisi i poeti visivi; un’analisi dei linguaggi dei mass-media che permetta loro di scoprire i meccanismi di funzionamento, le strutture segniche, allo scopo di poterli smontare per poi rimontarli, rovesciandone i segni, capovolgendone i significati”.
Un’operazione questa particolarmente interessate e completamente nuova che Miccini fa attraverso l’uso dei rebus e delle scacchiere, uno spazio concettuale di cui l’artista si impossessa per condurre la spettatore davanti alla sua narrazione e a coinvolgerlo attivamente nel suo divertissement.
“ Il gioco infatti non c’è, o meglio è solo apparente, è un modo per dare un altro segno all’iconografia vigente, altro potere mitopoietico e rituale alle espressioni-comunicazioni estetiche. Nell’elaborare questi giochi Miccini si pone anche il problema del fruitore , “del quale non ci si limita a una definizione del ruolo decodificatorio, ma è richiesta come necessaria, una qualità di attore: individuazione dell’immagine, traduzione linguistica di essa, costruzione della frase, riconnessione dei segni e decifrazione finale dei significati…”
I poeti visivi talvolta si divertono anche ad invertire i ruoli tra attore e spettatore. E’ quello che poteva accadere nel corso di una delle azioni-spettacolo di “Poesie e no”, una performance in cui i poeti visivi, Miccini, Pignotti, Marcucci declamavano spezzoni di frasi prese dai giornali mentre venivano affissi manifesti, proiettati filmati e musiche in sottofondo, un’atmosfera che ad ogni appuntamento, dopo la prima del 1964, si sarebbe rinnovata e sempre con esiti diversi, in uno scambio di ruoli tra l’ “attore” che si metteva nei panni dello “spettatore” e viceversa.