“Le riflessioni di Tano Festa sul volto ignoto dell’arte risalgono agli anni Sessanta. Allora dominava la Pop-Art e il Nouveau Realisme di Pierre Restany; ma c’erano anche altre esperienze aperte meno legate all’attualità. Come ad esempio l’aniconismo del quadro e l’iconismo ( quasi post-moderno) della citazione. Ma la critica, che voleva essere all’avanguardia, seguiva più volentieri il solo tracciato della poesia delle tendenze.
Così la pittura di Tano Festa subiva i molti “neo” allora in voga. Eppure, e ciò non poteva non saltare agli occhi, essa mostrava qualcosa di inquietante ( diciamo pure di metafisico). La “verità” quotidiana dei materiali e dei colori trasudava silenzio, nostalgia per il passato, desiderio d’ignoto, l’ombra alla luce, i contorni netti dei colori alle impronte decisive. Insomma Tano Festa, durante il regno delle tendenze, era “pericolosamente” esposto all’inattualità dell’arte.
La “Dimensione del cielo”, la “Porta”, lo “Specchio”, le citazioni da Michelangiolo sono opere palesemente metafisiche come aveva già intuito Maurizio Calvesi. Dunque non sono raffigurazioni “alienate”, mostrano piuttosto con humor, una paura del vuoto ingombrante della memoria. Tano Festa aveva compreso che l’opera possibile era il risultato provvisorio di una “esaltante unione dei contrari….”
( Italo Mussa, Edizioni Soligo, Roma 1981)
Nella Foto : Edoardo d’Inghilterra, opera di Tano Festa, Studio Soligo -Roma