Le ultime parole pronunciate da Johann Wolfgang von Goethe prima di spirare danno il titolo alla mostra che Casa Masaccio Centro per l’Arte Contemporanea a San Giovanni Valdarno (AR) si inaugura domani 30 ottobre 2021 a cura di Rita Selvaggio.
Il concetto di luce è stato un elemento fondante della storia dell’arte, oltre che un mezzo imprescindibile per la visione e per la trasmissione dei colori nello spazio e a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso, è diventato parte integrante del linguaggio espressivo dell’arte. Il viaggio della luce ha sorgenti molto remote, ha attraversato il mito e la metafisica, la teologia e l’arte, giungendo secolarizzata nel nostro quotidiano, intrappolata nel nostro controllo e nella nostra operatività. Diventando materia dei nostri oggetti e oggetto del nostro lavoro, essa chiede una diversa percezione del mondo, un diverso portamento del corpo, un confine molto più liquido tra interno ed esterno.
La mostra riunisce un gruppo di artisti di varie nazionalità e generazioni – Alberto Garutti (Galbiate, Lecco, 1948), Alfredo Jaar (Santiago del Cile, CL, 1956), Ann Veronica Janssens (Folkestone, UK, 1956), Joseph Kosuth (Toledo, USA, 1945), Daniele Milvio (Genova, 1988), Kaspar Müller (Schaffhausen, CH, 1983), Michel Verjux (Chalon-sur-Saône, FR, 1956) – i cui lavori presentati in Casa Masaccio si focalizzano su fenomeni percettivi e sull’idea che la luce stessa possa essere sia soggetto che materia dell’arte.
L’intervento di Alberto Garutti consiste nel disseminare nel percorso espositivo opere della serie “Che cosa succede nelle stanze quando le persone se ne vanno?” (1993-2021), in cui l’artista si appropria di stralci di memoria domestica e materiali di vita quotidiana per continuare la sua sottile analisi critica dei sistemi espositivi.
Anche in questa occasione i contributi di Alfredo Jaar, indiscusso protagonista dell’arte di oggi, incorporano questioni che riguardano problematiche socio-politiche e si interrogano sul significato di lotta e partecipazione, di impegno politico e sociale sollecitando alla consapevolezza e alla responsabilità verso il mondo e quello che accade.
Nella pratica di Ann Veronica Janssens, l’obiettivo principale è quello di indagare la percezione della realtà smaterializzandola attraverso vari mezzi, principalmente con la luce. Dalla fine degli anni ’80, il suo lavoro si è infatti sviluppato basandosi su fenomeni ottici naturali di luce e colore. L’artista sperimenta sempre i tratti distintivi di materiali scelti con cura, di forme e luce, facendoli interagire con la nostra percezione della realtà, per creare un vocabolario ricorrente di motivi minimalisti.
Joseph Kosuth, uno dei pionieri dell’arte concettuale e dell’arte installativa, a partire dagli anni Sessanta ha dato vita a opere basate sul linguaggio e su strategie di appropriazione; per una mostra dedicata alla memoria di Daniele Del Giudice, uno dei massimi scrittori italiani del secondo Novecento, il suo intervento affronta il problema del tempo attraverso una molteplicità di rimandi ad altri autori, pensatori e scrittori. In “Quoted Use” (2019), l’artista si appropria idealmente di oggetti personali e di uso quotidiano appartenuti a scrittori e personalità influenti della cultura tra cui Jane Austen, Samuel Beckett, Simone de Beauvoir, Charles Darwin, Marcel Duchamp, Albert Einstein, Søren Kierkegaard e Virginia Woolf.
Kaspar Müller conferma anche in questa occasione il suo fare da “bricoleur”, trasfigurando i codici del design dei complementi d’arredo delegati all’illuminazione di interni, li sovverte attraverso minime variazioni, inventando altri oggetti. Il fluire dei significati comunemente attribuiti a questo tipo di elementi lavora insieme ad immagini, icone e costellazioni di simboli per mettere a punto un unico dispositivo che si espande nel tempo e nello spazio per suggerire scenari alternativi di dispersione e di successivo recupero di energia. Per –“Mehr Licht!”-, Kaspar Müller ha appositamente pensato “Tree of lights” (2021) un’opera che si muove tra scultura, design e arte in un contesto funzionale.
Il lavoro di Daniele Milvio si fonda su un’iconografia errante che non ha alcuna origine nella speculazione formale, ma nasce e prende forma nella pratica quasi quotidiana del disegno. Per la mostra in Casa Masaccio, l’artista presenta “In tutta la città si facevano testamenti” (2016), un bronzo collocato nel “chiasso” dell’edificio, pensato con l’intento di creare una scultura di difficile datazione, ma che in realtà risulta essere una lampada ad olio ipertrofica la cui iconografia fa riferimento a motivi della prima metà del XVII secolo.
Quelli di Michel Verjux, più che spazi interni sono “corpi interiori”, simili alla luminescenza biotica, diversi dal luminismo pittorico, dalle sculture di luce soggette alla semplice contemplazione. La loro topologia ne fa soglie di invito a transiti percettivi, indici di legame tra energia, concetto e materia sottostante. Gli “éclairages” dell’artista francese consistono di fatto in pura “luce”, proiettano la luce artificiale sulla solare, lustrano in quanto rischiarano.
-“Mehr Licht!”- è dedicata alla memoria di Daniele Del Giudice (Roma, 11 luglio 1949 – Venezia, 2 settembre 2021), i cui saggi contenuti nel volume “In Questa Luce” (Einaudi, Torino 2013) hanno accompagnato il procedere di questa mostra.
–”Di luce le nostre cose, di luce le nostre armi, di luce le nostre comunicazioni, i monitor e i computer – memoria che diventa luce – […]’ –