Sergio Scatizzi ( Lucca 1918 – Firenze 2009)
Dopo aver trascorso gli anni della giovinezza in Valdinievole Sergio Scatizzi si trasferisce a Roma dove entra in contatto con i circoli artistici della Rafael e Cavalli e stringe amicizia con Giovanni Comisso e il poeta De Libero, sempre in quegli anni conosce Filippo De Pisis con il quale stringerà un’ amicizia duratura caratterizzata da un vivace scambio intellettuale. Estraneo alle avanguardie, la sua attenzione si concentra sulle Nature, Fiori, Vedute romane, è l’inizio di un crescente successo e dell’attenzione di una critica qualificata. Ritornato a Montecatini espone in mostre collettive con i pittori pistoiesi e lontano dalle polemiche del tempo che vogliono l’artista “impegnato” rivolge l’attenzione allo studio del paesaggio con una sintesi e un equilibrio di fresca atmosfera unificante. Appartiene a quel periodo il primo viaggio a Parigi insieme a Comisso e ad altri amici, qui conoscerà gli impressionisti e la grande pittura del nostro secolo. Nel 1951 espone alla XXV Biennale di Venezia e sempre in quell’anno vince il Primo Premio di pittura “Bagni di Lucca” presieduto da Carlo Carrà, conosce Ottone Rosai e stringe amicizia con altri artisti come Capocchini, Marcucci, Tirinnanzi, Pregno ed entra in contatto con l’ambiente culturale fiorentino dove nel 1955 terrà la sua prima personale alla Galleria Spinetti, l’anno seguente lo troviamo alla Galleria l’Indiano, un rapporto che durerà fino al 1969. Nel 1958 una vasta panoramica del suo lavoro viene messa in mostra alla “Strozzina” mentre nel maggio del 1962 alla Galleria L’Indiano per la prima volta vengono esposte le celebri “Terre volterrane”. Ha inizio un importante periodo espositivo che lo vedrà presente nelle più importanti gallerie d’arte in tutta Italia e anche con appuntamenti all’estero. Nel giugno del 1976 l’Accademia di Belle Arti di Carrara organizza una antologica di opere scelte e inedite presentata da Pier Carlo Santini, per la prima volta vengono esposte carte dipinte a tempera o con altre tecniche, sono fogli dove la ricchezza di umori pittorici si rivela con un grande potere evocativo, opere che più tardi Raffaele Monti definirà “uno dei più liberi, ricchi e alti diari della pittura dei nostri anni”.